Barbara Bonomi Romagnoli | Barbara Bonomi Romagnoli
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Riavvolgere il tempo

Federica De Paolis non ha dubbi: «Il passato si può superare ma non si può prescindere da questo», è un tempo circolare che ritorna e avvolge la vita di ognuna di noi, di ogni persona che incontriamo. Così è anche per i protagonisti del suo nuovo romanzo Rewind , intrecciati in una vicenda che ha bisogno – come suggerisce il titolo – di essere letta a ritroso per essere compresa fino in fondo. In uno spazio-tempo che in qualche modo è anche quello del passato dell’autrice, per anni dialoghista e sceneggiatrice cinematografica, che ha ben conosciuto uno degli scenari su cui è costruita la storia, quel mondo del cinema che ritroviamo nelle pagine, e nel ritmo, del suo romanzo: Talila Tal è infatti l’addetta stampa di una grande casa cinematografica, capita di vederla al ristorante con John Travolta, e c’è stato un tempo in cui andava alle grandi feste a Venezia dove ci si confonde, ci si ama e ci si tradisce.

Niente amore solo sesso Dai banchi alle “battute di caccia” – Intervista a Riccardo Iacona

Non è un libro lineare quello di Riccardo Iacona (scritto con Liza Boschin, Federico Ruffo, Elena Stramentinoli), appena uscito per Chiarelettere con il titolo Utilizzatori finali e che in parte riprende il lavoro fatto dal giornalista e dal suo team per la puntata di Presa diretta. Non è lineare per i sentimenti che suscita, per come è scritto, per le storie che racconta.

Un muro di gomma – Risposta all’intervista rilasciata da Luisa Muraro al Corriere della Sera il 7 dicembre 2014.

Tornare a casa entusiasta e piena di senso per il futuro, dopo tre giorni di Convegno nazionale dal titolo “Archivi dei sentimenti e culture femministe dagli anni Settanta a oggi” , e leggere le dichiarazioni di Luisa Muraro è come andare a sbattere contro un muro di gomma. E davvero non se ne può più.

Per questo mi associo con passione alle parole dette da Luisa Pronzato e Elena Tebano.
Essere femministe significa prima di tutto voler cambiare, insieme, un mondo che non ci piace, da decenni. Molto è stato fatto dalle donne arrivate prima di me, nata nel 1974, e molto altro lo stanno facendo le mie coetanee e quelle più giovani. Solo che non si sa, lo si racconta poco o male, e soprattutto c’è molta resistenza da parte di molte delle donne che hanno fatto le lotte degli anni Settanta a voler riconoscere autorevolezza, posizionamento politico e spazi di visibilità a chi è venuta dopo di loro. Il risultato di questo mancato riconoscimento è sotto gli occhi di tutte: si afferma sempre più una mentalità puramente emancipazionistica e per niente liberatoria, spesso moralista e fintamente non sessista, con giovani donne e giovani uomini che non percepiscono quanto si stia tornando indietro sul piano delle conquiste e dei diritti che, sappiamo bene, non sono acquisiti per sempre.
Dire che le donne delle nuove generazioni «danno lustro a una baracca che sta crollando. Manca in loro una vera volontà di affermarsi se non come puntelli, riflessi, eterne seconde, manca un protagonismo di qualità”, per usare le parole di Muraro e di chi condivide il suo stesso sguardo, lo trovo offensivo, arrogante e superbo, ed è curioso che una delle “madri” della differenza non distingua fra donne e faccia di tutta l’erba un fascio. Senza il minimo sforzo per andare a vedere cosa succede nella realtà, fuori dal salotto delle illuminate.

Mia figlia è morta nella strage di Viareggio. Oggi combatto per avere giustizia

Stavolta è toccata a me”, penso quando mi squilla il cellulare alle 3.12 di notte. È il 29 giugno 2009, siamo appena tornati dalle ferie. «È l’ospedale Versilia, le passo Emanuela», dice una voce dall’altra parte. “Ma come!”, penso risentita. “Mi aveva detto che era da Sara, dove sono andate?”. In quell’attimo sento la mia bambina: «Mamma c’è stato un incidente, è scoppiato un incendio, non ti preoccupare a me non è successo niente». Sembra tranquilla e il battito del mio cuore si normalizza. Poi, di nuovo la voce di prima: «Signora stiamo trasportando sua figlia al centro ustioni di Cisanello, vada lì». Ma perché? Emanuela ha detto che sta bene. Sveglio mio marito e ci rimettiamo in movimento. Saranno le quattro quando raggiungiamo l’ingresso del reparto. Vediamo un ragazzo correre: «Scusa, ma che cosa è successo?». «È scoppiato un treno», risponde concitato. Lui e io ci guardiamo perplessi: è scoppiato un treno? Noi sapevamo che i treni deragliano, non che scoppiano.

Le donne con le dita tagliate

Paola Tabet, etnologa che ha insegnato nell’Università di Siena e poi della Calabria, ha pubblicato di recente per Ediesse «Le dita tagliate», un volume prezioso che raccoglie una sintesi dei suoi lavori e, per la prima volta, la traduzione italiana di due saggi originariamente scritti in francese: «Le mani, gli utensili, le armi» (1979) e «Fertilità naturale, riproduzione forzata» (1985). Tabet è stata in stretto contatto con il gruppo francese di Questions féministes (Nicole Cl. Mathieu, Colette Guillaumin, Monique Wittig, Christine Delphy) e ha svolto moltissima ricerca sul campo in giro per il mondo, ha redatto un rapporto sulla prostituzione per l’Unesco e ha spaziato in diversi campi di ricerca, dalla filologia dei testi popolari alla costruzione sociale della differenza fra i sessi.

La vita delle mamme italiane, tra precarietà e ironia. Intervista a Elisabetta Ambrosi

«Questo libro è fatto di voci, di amiche e conoscenti, ma anche di donne con cui sono venuta in contatto casualmente attraverso il mio blog, che con generosità hanno risposto a domande come queste: “Quante volte a settimana hai la signora delle pulizie? Chi sparecchia? Quanto guadagni? Come vorresti cambiare il tuo lavoro? Hai avuto i figli che desideravi o ne vorresti altri? Sei libera? Sei felice?”»

Sono tante, tantissime le voci che si rincorrono nel nuovo libro Guerriere [Chiare lettere, 2014] di Elisabetta Ambrosi, giornalista de Il fatto quotidiano e Vanity Fair, che su twitter si presenta così: «Dna liberale. Molta rabbia, camuffata con ironia».

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