Barbara Bonomi Romagnoli | Diario di bordo – In marcia con le zapatiste e gli zapatisti
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Diario di bordo – In marcia con le zapatiste e gli zapatisti

24 febbraio

Prime luci dell’alba, intorno solo vegetazione sconosciuta, palme e distese aride. Siamo in Messico da dodici ore, passiamo dall’aereo al pullman con destinazione San Cristobal. Fa caldo , un vento che arriva dall’oceano ci rinfresca un poco, non ci conosciamo ancora per nome tra compagni di viaggio ma già scambiamo battute, impressioni, esperienze: non sappiamo in realtà cosa ci aspetta ma l’inconsapevolezza ci dice che torneremo comunque trasformati da questa avventura. È notte quando arriviamo in Chiapas, tardi per ascoltare il primo acto della Comandancia ma ancora in tempo per vedere i passamontagna riversati nella piazza del paese, migliaia di persone che si appoggiano a dormire per terra, su cartoni o plastiche, donne, bambine/i e anziani. Noi da bravi occidentali ci rifugiamo in albergo e siamo pronti per entrare nella carovana.

25-26 febbraio

Tuxtla Gutierrez, Juchitan, Tehuantepec, Oaxaca, cittadine diverse tra loro ma tutte ci stupiscono per i volti dei bambini che ci accolgono per strada. Scuole intere si riversano ai lati delle strade, la carovana fa fatica ad avanzare. È strano sentirsi acclamati, rispondere ai loro saluti, ci guardiamo attorno attoniti mentre loro cercano le nostre mani da sotto il finestrino. Nello Zocalo sono in tanti ad ascoltare attentamente le parole di Tacho, Esther, Marcos che raccontano la loro storia e di come cambierà. I tempi sono veloci, saliamo e scendiamo dal pullman in continuazione, si fa ancora fatica a fermarsi a parlare con le persone del posto ma i sorrisi che ci scambiamo sono forse più eloquenti.

 

27 febbraio

Sveglia alle quattro, ci aspetta un lungo viaggio per arrivare a Puebla ma un piccolo inconveniente sconvolge la tabella di marcia, sono spariti i nostri pullman, ossia i sei della delegazione italiana. Assemblea: non vogliamo accettare quelli che ci vorrebbe inviare il governo messicano, ma escono fuori le diverse anime che compongono il gruppo. Le tute bianche, numerose e organizzate, vorrebbero fare una spedizione “punitiva” a Città del Messico, i non allineati sono disposti a tutto pur di seguire Marcos, gli altri cercano di mediare e placare gli animi. Ora è chiaro a tutti che questo viaggio non sarà una passeggiata.

 

28 febbraio

Recuperiamo i nostri mezzi e il tempo perduto, ricominciano le ore di pullman tra Actopan, Madero, Tepatepec e Pachuca. La convivenza forzata inizia a dare i suoi frutti, si crea nel pullman 30 un clima da gita scolastica, con tutti i personaggi di una classe modello. Ci sono quelli del primo banco, un po’ secchioni e solitari, la coppia che convolerà presto a nozze, il rivoluzionario che scalpita nello scomodo sedile, il bello che cammina avanti e indietro e tiene banco. E ancora i compagni di merenda impegnati che altalenano tra politica e risate, il prof di religione che benedice con barzellette colorate, i rifondaroli che vivono per il partito e gli ultimi banchi che schiamazzano tra alcol e tutto il cibo che riescono a metter via. Un tocco di elvetico colore a completare una allegra brigata che è disposta a mettere in gioco le proprie differenze, resiste al sudore reciproco e canticchia l’inno zapatista tra una tappa e l’altra.

 

1 marzo

L’accoglienza che troviamo in ogni paese che attraversiamo, Acambaro, Zinopecuaro e Queretaro, ci travolge. Si respira una atmosfera ad alta tensione, alcune donne piangono sentendo Fidelia che ricorda le sofferenze delle sorelle indigene. Francisca, una bambina di sei sette anni ci chiede perché siamo lì, se studiamo lo zapatismo a scuola, non è semplice spiegarlo: è esigente e preparata, non vuole solo solidarietà, capisce la distanza fisica enorme che ci separa e vuole capire se la sua storia è anche la nostra. Ci aiuta Marcos dal palco, dice che siamo lì perché la nostra è una marcia.

Accade l’imprevedibile, un incidente sull’autostrada e ci ritroviamo a fare la “seguridad alla dignidad rebelde e al corazon olvidado de la patria”.

Notte in bianco per fare i turni di guardia, tra un filare di vigna abbandonata e la recinzione che circonda il convento che ci ospita. La mattina è quella del colore della terra, che supera le diverse lingue e colori della pelle.

 

2 marzo

Morelia e poi Patzcalo, un temporale dirompente. Ma la Comandancia è sul palco e la folla non si muove, si bagna ascoltando avidamente David, Tacho e il Sup. Sentire cantare l’inno nazionale da donne, uomini e bambine/i ad una sola voce è qualcosa che non ci appartiene. Una donna va incontro a Marcos piangendo, gli chiede che fine ha fatto il suo uomo, un pescatore. Con dignità esige verità e giustizia. Sono tante, troppe le emozioni, in pullman siamo silenziosi. Riusciremo a riportare tutto a casa? Il dono che continuamente ci offrono le persone che incontriamo è un bene prezioso che forse non comprendiamo a fondo.

 

3/4 marzo

Una esplosione di colori su di un altopiano a più di tremila metri. Siamo arrivati a Nurio, il terzo congresso indigeno è iniziato con un giorno di ritardo per via della pioggia. La piccola comunità ci accoglie a braccia aperte, cibo a volontà, la loro scuola come rifugio per la prima notte, poi tende per coprire i turni di guardia. La Comandancia gira tra di noi, si ferma a parlare, ci osserva, sorride e chiede un caffè con la moka. La contentezza è contagiosa stempera il freddo, l’umidità e gli screzi dovuti alla stanchezza.

I lavori congressuali proseguono, siesta messicana compresa; più di diecimila persone tra delegati delle oltre trenta comunità indigene presenti in Messico e osservatori internazionali, per preparare un documento unitario che chieda il riconoscimento costituzionale delle popolazioni indigene. In tutto il mondo suggerisce qualcuno.

5 marzo

Siamo al giro di boa, finora il tempo è passato lentamente, giornate che sembravano non terminare mai, vissute in una sorta di limbo, diventano una discesa libera. Si avvicina il DF ( Distretto federale n.d.r.) e il clima politico si irrigidisce. La società civile messicana critica il protagonismo delle monos blancos italiane. L’evidenza a volte sfugge e il successo da alla testa.

Zitacuaro, Morelia , dritti fino a Toluca dove chiediamo una piccola tregua psicofisica, ormai le paranoie sono all’ordine del giorno, non si scende alla ricerca di un bagno per paura di perdere il pullman. Ci confessiamo con un po’ di vergogna, vista l’ospitalità che riceviamo, che siamo un po’ stanchi di tacos, riso, fagioli, uova e di nuovo riso, fagioli, tacos. Siamo disposti a tutto per una doccia e un letto.

È incredibile come un albergo e una zuppa di asparagi riescano a risollevare gli umori!

6 marzo

Non poteva mancare il nostro piccolo “acto”, ovviamente senza voler competere con la Comandancia, e gli scalmanati del pulman numero trenta chiamano a raccolta i veri protagonisti della nostra casa ambulante, i due autisti. Per la contentezza del compagno Carlo Marx di Bologna, regaliamo loro le magliette contro il Global Forum di Napoli. Vestizione con benedizione e poi foto di gruppo, abbracci, sorrisi, balli perché la carovana è festa, allegria, energia da trasmettere.

Passando per Cuernavaca la sera arriviamo a Tepoztlan dove la Comandancia riceve la luce sacra e le corone di fiori dalla comunità tutta. E in piazza si fa notte al suono delle percussioni, cibo ad ogni angolo delle strade, anche per i nuovi arrivati dall’Italia e dal mondo. Marcos ci rapisce tutti, parla con il cuore in mano senza nulla di scritto, ci ripete che Marcos non esiste, è una finestra sul mondo che ci riflette tutti se la utilizziamo come uno specchio per arricchirci delle differenze.

7 marzo

Alla volta di Iguala e poi Cuatla. Il sole si fa sentire nelle ore dei cordoni di sicurezza, la partecipazione sembra scemare, ci siamo allontanati dai “fortini zapatisti” e siamo un po’ disorientati. Qui la posta in gioco è più alta, un cameriere dopo cena ci serve tequila con la magnum in tasca. E in strada una pattuglia federale porta via una donna e una ragazza, colpevoli forse solo di essere povere.

Intanto sta per terminare anche il nostro lavoro, la sicurezza tornerà alla società civile messicana, una buona occasione per stare più a contatto con chi lo zapatismo lo vive e lo coltiva.

8 marzo

Dal vulcano alle porte della città sale un fumo bianco su verso il cielo terso. È la festa delle donne, foto di gruppo con signore. Viene da pensare alle delegate del congresso, la loro determinazione nel sottolineare il lavoro portato avanti in questi mesi per ottenere il diritto alla scuola e alla salute dei loro bambini, perché venga riconosciuto il diritto ad essere donne nel loro territorio e nei loro lavori. E tornano in mente i visi bruciati dal sole e del colore della terra che abbiamo incontrato per via e che timidamente ci hanno sorriso e aperto le loro case. Mentre ci avviciniamo a Milpa Alta, la luna piena illumina le montagne, e sembra davvero il volto luminoso della madre Terra che il Messico di Zapata ci insegna a rispettare.

9/10 marzo

A Milpa Alta si tiene una riunione conclusiva della delegazione italiana per preparare l’arrivo alla Ciudad. Siamo tutti stanchi, sfumature importanti non vengono colte, forse non è il momento perché è necessario determinare la nostra presenza qui. Ma non sarebbe male in Italia ricominciare da chi fa notare che, nonostante i tanti discorsi, forse l’umiltà e il rispetto tra di noi spesso sono mancati o barattati con una manciata di infantile protagonismo. Basterebbe anche solo rifletterci individualmente.

Penultima tappa alle porte della città, Xochimilco, dove già la cittadinanza aveva appoggiato con calore l’arrivo di Villa e Zapata a inizio secolo. La storia si ripete con nuevas palabras.E lo spettacolo più bello è vedere i i tanti giovani che sono presenti, i manifesti e gli striscioni coloratissimi, numerosi, a testimoniare che la speranza di un cambiamento è viva e in un futuro che è già presente.

11 marzo

Un dolore al cuore, acuto, ma di quelli che fanno bene allo spirito. Che danno una scossa all’apatia e all’indifferenza, perché la commozione è forte, irrompe mentre lo Zocalo di Città del Messico si riempie fin dalle prime ore del mattino per aspettare l’arrivo della Comandancia. Cinquecentomila, seicentomila, un milione forse di persone. Non ha molta importanza, quello che conta è essere arrivati a destinazione con la sacca da viaggio piena di belle facce, di lingue e colori diversi, di bambine/i con il passamontagna, di un coro a più voci che canta “el esfuerzo de los zapatistas”. Adesso comincia la vera avventura, per loro che restano disarmati nella fossa dei leoni e per noi che torniamo alle vite di tutti i giorni. La sfida sarà tenere presente che “Todos somos Marcos” significa disponibilità al confronto con le differenze, rispetto di chi è accanto a noi, saper rinunciare anche ai nostri piccoli privilegi per l’opportunità e il bene di chi è considerato un nulla nel mondo.

 

pubblicato su Carta www.carta.org

 



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