Barbara Bonomi Romagnoli | Ex Jugoslavia, la guerra vista dal tinello di casa – Intervista a Tamara Jadrejcic
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Ex Jugoslavia, la guerra vista dal tinello di casa – Intervista a Tamara Jadrejcic

Sono passati poco più di dieci anni dalla guerra che negli anni Novanta, “agli sgoccioli del Novecento”, ha portato allo scioglimento della Jugoslavia con un pesante bilancio di vittime e con conseguenze che ancora oggi bruciano e rendono instabile la vita per milioni di persone. La conferma del moderato ed europeista Tadic in Serbia e la futura inevitabile indipendenza del Kosovo potrebbero riaprire scenari difficili.

Di tutto questo spesso abbiamo informazioni filtrate dai media ufficiali, che come sappiamo non restituiscono la complessità del reale e pochi si soffermano a raccontare quel che avviene alle persone in carne ed ossa, se non quando avvengono gli atti più efferati, come in passato è accaduto con massacri come quello di Srebrenica o immagini di bombardamenti e cecchini.

Un libro pubblicato di recente ci suggerisce invece un’altro punto di vista, “la guerra vista dal tinello di casa” come suggerisce Gian Antonio Stella nella prefazione al testo. “Prigionieri di guerra” di Tamara Jadrejcic è edito da Eks&Tra, associazione interculturale che da anni si occupa di scritture migranti, e le cui pubblicazioni non si trovano in libreria ma potete acquistarle tramite il sito internet www.eksetra.net o telefonando allo 051 6810350.
Con una scrittura asciutta ma attenta ai dettagli, Jadrejcic ci porta nelle stanze di alcune famiglie e nelle relazioni umane che si intrecciano nella quotidianità delle case private, nel negozio di una sarta o nella casa di una coppia anziana scappata troppo velocemente da Trebinje.
L’autrice croata, con uso impeccabile della lingua italiana, ci conduce fin dove più straziante è stata la “sanguinaria resa dei conti tra popoli fratelli che nei secoli avevano accumulato l’uno verso l’altro diffidenze, rancori, odio”, sempre secondo le parole di Stella. Popoli che tuttavia erano riusciti anche a costruire preziosi e millenari equilibri di convivenza come si capisce anche da questi brevi e intensi racconti. Jadrejcic è riuscita a restituire con estrema delicatezza la follia e i traumi che la guerra porta con sé, le possibili risposte personali – la madre che cerca rifugio nella religione per spiegare la perdita del figlio soldato – e anche alcune delle responsabilità collettive che riguardano anche noi oltre quei confini – l’informazione di guerra o il rigurgito di politiche nazionalistiche.

La guerra e la quotidianità stravolta, questo il filorosso che lega i tuoi racconti. In che modo la guerra nella ex jugoslavia ha cambiato la tua vita?
È difficile dire quanto la guerra abbia cambiato la mia vita… se sarei rimasta nel mio paese, se avrei cominciato a scrivere, non lo so… Certo, la guerra e la fine del paese nel quale sono cresciuta e vissuta, la Jugoslavia, è stato come un taglio netto con la vita precedente. Molti hanno dovuto cambiare casa o addirittura paese, lavoro, amicizie. La guerra non è un evento nel quale puoi prevedere che succederà nella tua vita, al quale ti puoi preparare. È stato un grande trauma collettivo.

Cosa ti ha spinto a tradurre in brevi ma intensi racconti questa tua esperienza di vita? la scrittura era già un tuo luogo privilegiato?
I racconti “I Prigionieri di Guerra” sono stati originariamente scritti in croato, perché lo sentivo più naturale. Poi è seguito il processo di traduzione o autotraduzione o trascrizione, come mi piace definirlo. Non essendo un testo scritto da altri, mi sono sentita molto libera a cambiarlo, tagliare, insomma, prepararlo per un lettore italiano o comunque straniero.

Come mai hai deciso di scrivere in una lingua altra, che padroneggi perfettamente ma che non è la tua lingua madre?
Vivevo in Italia e avevo bisogno di spiegare e far conoscere alle persone vicine quello che avevo sentito o visto. Fissarlo sulla carta. Non ho mai pensato di pubblicarlo in Croazia, anche perché i croati ne avevano abbastanza della letteratura di guerra, praticamente ognuno poteva scrivere un libro.

Cosa pensi della letteratura cosiddetta migrante che si sta
sviluppando in italia?

La scrittura migrante è un fenomeno che comunque sta crescendo e che bisogna prendere sul serio. Però non troppo. Scrittura emigrante sta diventando parte della scena letteraria italiana, non una cosa a parte. Dopo il premio Eks&Tra per il racconto “Il Bambino che non si lavava” volevo mettermi a confronto con scrittori italiani. Mandai i miei testi al concorso Italo Calvino, perché non volevo rimanere solo una scrittrice “straniera”.

In un racconto accenni a una donna che subisce violenza dal marito soldato. In che misura le donne hanno pagato il prezzo di questa guerra civile? Pensi che sia possibile curare le ferite?
Sarà un luogo comune, ma penso che le donne spesso abbiano subito doppiamente. La guerra è una cosa da uomini. Nel racconto “La Guerra di Mira” si parla del suo fronte personale, tra la cucina e il soggiorno. Lei, vittima della guerra esterna con bombardamenti, cantine e aiuti umanitari e quella interna alla casa con un marito alcolizzato e ancora più violento di prima. Oltre alla donne che hanno subito violenze da soldati sconosciuti, ci sono migliaia di quelle che ancor’oggi vivono con famigliari traumatizzati dalla guerra, spesso depressi e alcolizzati.

Cosa pensi rispetto al lavoro che sta svolgendo il tribunale internazionale de L’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia?
Nonostante la lentezze ritengo che il suo lavoro sia indispensabile. I colpevoli non possono continuare a vivere accanto alle vittime con la scusa “C’era la guerra!” Purtroppo molti criminali per ragioni politiche non sono stati ancora presi e consegnati all’Aja. Il Tribunale dovrebbe avere più incisione in questi casi.

Sei in viaggio da parecchio, prima in Italia poi gli Stati Uniti, un ritorno in Croazia è impensabile?
Difficile. Vivo in Croazia quasi due mesi all’anno, ma il mio lavoro e la mia famiglia per adesso non portano li.
 

 

pubblicato su Liberazione, www.liberazione.it



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