Barbara Bonomi Romagnoli | Iacona: violenza alle donne, questione politica
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Iacona: violenza alle donne, questione politica

Riccardo Iacona non ha bisogno di presentazioni, è un giornalista conosciuto per il suo impegno civile e ammette con franchezza: “la notorietà sta giocando a mio favore”. Infatti, sul suo ultimo libro Se questi sono gli uomini. Italia 2012 La strage delle donne (2012, Chiarelettere) si sono accesi riflettori che mai si erano posati su altre e altri che da anni denunciano la stessa storia. Ovvero donne ammazzate in quanto donne, in una sola parola: femminicidio. Iacona ha scritto un libro puntuale, preciso, che non scade nel dettaglio morboso. Ricostruisce le storie, cerca i fili rossi che uniscono i diversi omicidi, intervista familiari e vicini di casa, entra nelle case perché è in questi luoghi che la violenza si manifesta con maggiore frequenza. Una violenza, vale la pena ripeterlo, che ha molti volti, perché prima di arrivare alla morte ci sono vessazioni e pressioni psicologiche, spintoni e urla.

“Sto rilevando un grande interesse, stiamo presentando il libro in tutta Italia e anche il fatto che abbia investito un’intera trasmissione ha permesso di avere un’attenzione diversa. A Bologna, alcune donne che lavorano nei centri antiviolenza mi hanno detto che, dopo anni che cercano di sensibilizzare un pubblico più ampio, ora hanno l’impressione che ci possa essere un salto, che il libro possa essere uno strumento utile per una svolta”.

Che sensazione hai rispetto alla percezione di questi fatti? C’è più ignoranza o cattiva cultura?
È un paese in cui si pensa che uccidere le donne sia un fatto fisiologico, è un senso di impotenza unito ad una sensazione di protezione che ti fa dire: “a me non può accadere”. Tutto è ricompreso nella relazione privata. Nonostante la ferocia di molte vicende amplificata dalla narrazione mediatica. Eppure è sempre un altrove, un diverso da me che fa dire, anche con un certo egoismo, “non ci riguarda, né me né mia figlia”.

Quest’anno i media italiani sono stati più attenti alla ricorrenza del 25 novembre, eppure si continua troppo spesso a parlarne in maniera inesatta, riducendo il gesto del maschio alla follia e il silenzio delle donne a vittimismo. Secondo te, quali potrebbero essere delle azioni immediate per invertire la rotta di un giornalismo mainstream troppo pigro nell’uso di un linguaggio non sessista e troppo veloce nel creare il sensazionalismo?
Il giornalismo ha rinunciato a fare inchiesta in generale e in particolare su queste tematiche. Invece dobbiamo ricominciare da lì, chiederci il perché e il come avvengono certi fatti, studiarne il contesto. Fare come si è fatto su Scampia, sulla mafia, andare nei luoghi dove avvengono queste cose sapendo che si troverà resistenza ma che è possibile entrare e raccontare cosa avviene. Anche per la violenza sulle donne bisogna andare a fondo e non fermarsi al fatto singolo. È necessario fare 1 + 1. Invece abbiamo un’enormità di dettagli morbosi senza che si crei il nesso e si produca un senso condiviso di quello che è accaduto.

La convenzione No More, che Giulia insieme ad altre e altri ha promosso, non solo denuncia i limiti dell’informazione ma rilancia chiedendo la formazione per chi lavora nei media. Tu che ne pensi? I colleghi maschi come stanno reagendo, hanno colto la gravità della questione o pensano che sia roba da donne?
Sì conosco la convenzione, in generale gli uomini sono sempre molto pochi quando presentiamo il libro e sicuramente non è un argomento a cui si appassionano. Si sentono lontani, distanti come se la cosa non li riguardasse. Lo stesso vale per i colleghi, oltre a non sentirsi toccati in prima persona ritengono che siano fatti di cronaca. Non sentono lo spessore politico della vicenda e quindi relegano tutto a questioni private.

Quindi secondo te più che di problema culturale è questione politica.
Certo che è culturale, ma è indubbio che finché ci sarà la rimozione della politica anche l’informazione faticherà a cambiare. Volendo fare il parallelo con la mafia, è solo quando la politica ha cambiato atteggiamento, quando lo Stato ha preso una serie d’iniziative anche al limite della costituzionalità – come il 41 bis – è solo in quel momento che l’informazione ha iniziato a fare più inchieste, a raccontare quello che stava accadendo e, nell’accendere i riflettori, sapeva che non c’era il vuoto completo dello Stato. Lo stesso vale per la violenza di genere, senza la politica pronta a dare un segnale chiaro non si va da nessuna parte, l’agenda la dettano altri non noi giornalisti. E vale anche per i colleghi che non seguono l’agenda istituzionale. Nel frattempo tutto quello che si può fare è utile e va fatto.
Il punto fondamentale, che deve assumere la politica, è cosa c’è dietro questi ammazzamenti e c’è in ballo la libertà femminile. Tutte le storie che ho raccontato sono storie di donne in marcia verso la libertà e l’emancipazione. È questo che disturba i loro uomini e viene rimosso a livello politico e culturale.

Leggendo il tuo libro mi aspettavo una maggiore voce maschile: è stato un problema trovare uomini disposti a parlare o hai in mente una seconda puntata?

Non sei l’unica a chiedermelo, in realtà è che io non sono un sociologo o un opinionista, lavoro sui fatti, per cui quell’ultimo capitolo che ho messo con le voci degli uomini coinvolti è quanto sono riuscito a trovare lavorando da giornalista.
Per cui non saprei, la seconda puntata ci potrebbe essere se ne trovo altri, continuerò comunque a cercare e raccontare. Mi viene in mente Pasolini di Comizi d’amore, ecco l’Italia è come se fosse ancora ferma a quel bianco e nero descritto da lui.

Di recente Giulia Bongiorno e Mara Carfagna hanno di nuovo parlato di una legge che inasprisca le pene. In realtà i centri antiviolenza, e i movimenti di donne che li sostengono, chiedono da tempo più risorse e azioni/progetti/pratiche mirate a eliminare il sessismo della società.
L’ergastolo non serve a nulla, anzi uno dei problemi è che non servono altre leggi, bisogna far applicare quelle che ci sono, la legge sullo stalking che di per sé secondo me è buona, prevedeva la creazione di una rete che non è stata attivata per mancanza di fondi. Senza parlare poi dei carabinieri che non sono formati, le procure che non si attivano in tempi rapidi. Insomma basterebbe partire da qui e già staremmo un pezzo avanti.

Pubblicato su Giulia http://giulia.globalist.it/



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