Barbara Bonomi Romagnoli | Il buio che illumina i fantasmi
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Il buio che illumina i fantasmi

«Vedo tutto così chiaramente, come se fosse successo davvero. Ci ho provato a vivere normalmente, ma ogni volta sentivo che l’irreale non spariva, si spostava soltanto di un po’».

Polonia, 1935. Una donna senza nome, narratrice della storia, viene dimessa da un sanatorio per malati di nervi sul Baltico. Arriva a Varsavia con il fratello maggiore e si apre una vicenda che va avanti e indietro nel tempo, fra ricordi e presenze che sembrano aliene ma forse sono solo gli spiriti della vita vissuta e dei desideri che la animano.
Autrice di questo interessante esperimento letterario è Anna Kańtoch, polacca, classe 1976, arabista di formazione ed esponente di punta del gruppo letterario “Harda Horda” che riunisce alcune fra le autrici fantasy polacche più influenti e originali. Ha pubblicato dodici romanzi e numerosi racconti, spaziando dal noir alla fantascienza, dallo steampunk al giallo, fino alla young-adult fiction. Con Buio ha vinto il premio Zuławski, il maggiore riconoscimento critico per la letteratura fantastica del suo Paese.
Per conversare con lei sull’edizione italiana appena pubblicata da Carbonio editore, l’abbiamo raggiunta con il sostegno di Salvatore Greco, interprete e agente letterario di Nova Books Agency che ha portato l’autrice in Italia.

Sei stata presentata in Italia come una esponente del “ginocentrismo della fantasy polacca”: ti ritrovi in questa definizione? 
Sì perché negli ultimi vent’anni il mondo letterario del fantasy è cambiato parecchio; era dominato da autori e invece adesso ci sono sempre più autrici, ad esempio Ewa Białołęcka che insieme a me fa parte di Harda Horda oppure la storica medievale Anna Brzezińska. Da mosche bianche ora siamo una presenza riconosciuta e sono molto orgogliosa di far parte di questo gruppo.

Iniziamo dal titolo: in italiano «Buio» fa pensare al fatto che la tua storia – parli anche di fantasmi e mondi paralleli – avesse bisogno di una situazione senza luce; è voluto o è qualcosa emersa nel corso della scrittura?

In polacco in realtà il titolo è nero; e il processo è stato parzialmente voluto e parzialmente casuale. In Polonia esistono diversi luoghi che si chiamano così, nessuno rassomiglia del tutto al posto che descrivo nel libro ma mi piaceva l’idea che fosse un luogo con questo nome per avere anche rimandi simbolici. Non sono però necessari questi toni scuri per raccontare eventuali altri mondi; piuttosto rispecchiano anche il mio carattere, non sono particolarmente ottimista e solare.

La tua narrazione parla di disagio mentale: è anche per questo che si muove fra tempi passati e presenti e identità diverse?
Sì è un elemento importante, perché volevo da subito creare una personaggia che non fosse del tutto credibile e lasciasse spazio ai dubbi, non fidarsi del tutto di quello che lei vive. Volevo lasciare l’incertezza sul fatto che i suoi disturbi mentali fossero il motivo dell’avere una visione delle cose diversa dagli altri.

Il tuo testo si muove fra realtà e finzione ma anche fra realtà e vite parallele, fantasmi che rincorrono i personaggi e viceversa: c’è una situazione particolare che facilita questi incontri?
Sento di credere a tutto quel che accade ai miei personaggi nel momento in cui accade: mentre scrivevo pensavo a una storia di sola letteratura fantastica, poi è diventato qualcosa altro che utilizza anche le categorie del realismo magico, ovviamente in contesti diversi dalla letteratura latinoamericana dove il realismo magico si è sviluppato.

La protagonista si sente diversa e riconosce chi come lei è diverso, uno straniero a questo mondo. È un modo per dire con la finzione narrativa che non c’è patria umana per chi è sensibile e non si omologa?
Il senso di estraneità è fondamentale nel libro. Sì, è anche un messaggio che va oltre la letteratura e vuole mostrare le sensazioni di chi si ritrova a vivere “fuori norma” rispetto alla società.

A un certo punto la protagonista dice «Sono una bambina, poco più di un rudimento femminile, un essere informe a cui si permette di giocare con i propri fratelli. Ma non è questo il punto: mia madre nutriva la profonda convinzione che mi avrebbe insegnato chi avrei dovuto essere». Ricorre nel romanzo il tema della femminilità imposta da culture patriarcali, pensi che fare letteratura posso sostenere i movimenti per i diritti delle donne?
La purezza del messaggio politico l’ho capito a fine stesura e me ne sono resa conto con orgoglio, perché sicuramente quando la tratteggio nel periodo pre-adolescenziale emerge il fatto che è quello il momento in cui si può scegliere cosa essere e lei, a modo suo, si ribella anche a quelle che sono le aspettative familiari. Le donne sono indirizzate verso uno schema sociale rigido, ieri come oggi, e il messaggio rivoluzionario si è sviluppato con il personaggio

Nel romanzo si parla di relazione amorosa fra donne: è possibile in Polonia esplicitare le relazioni lesbiche o si va incontro a discriminazioni? Credi la Polonia sia un paese per donne?
Non tutti gli ambienti sono aperti ad accogliere queste esperienze e anche per strada si può incorrere in situazioni spiacevoli, ma ci sono ambienti protetti, per esempio dove vivo nella regione della Slesia esistono circoli letterari dove gli orientamenti sessuali sono molteplici e non vengono giudicati.

Come sono state accolte le scene descritte nel libro?

Incredibilmente sono state molto apprezzate, addirittura c’è chi ha detto che è stata una delle cose migliori che ho scritto e sono molto soddisfatta anche io, lo dico senza falsa modestia.

Per chiudere sulle tematiche di genere, a un certo punto parli di comportamenti maschili per far apparire le donne prima isteriche poi vittime. Il non essere trattate come vittime è un tema importante nei femminismi contemporanei, come anche in quello polacco che è tornato di nuovo a protestare per il diritto all’aborto. Cosa pensi di queste manifestazioni, anche come figura pubblica di scrittrice nota e tradotta all’estero?
Il libro, ambientato negli anni Trenta, l’ho scritto quasi dieci anni fa e non potevo immaginare che questi temi tornassero con così tanta attualità, per cui per certi versi mi rattrista pensare che siamo tornati indietro e la situazione sta peggiorando. Sono una persona molto timida e introversa, non amo la folla e i rumori folli, ma questa volta ho partecipato alle proteste e ne ho parlato anche sui miei profili social per far capire che è necessario uscire dalla propria bolla di sicurezza e nemmeno la timidezza può fermare dal manifestare.

In un passaggio la protagonista dice: «Di fronte a me, invece, ho l’impossibile, sono ancora bloccata al confine tra due mondi, persa: nessuno dei due mi sembra abbastanza reale da potermi fidare». Sembra una visione un po’ pessimistica dell’esistente…
No, in realtà l’estraneità che la protagonista sente nei confronti del mondo la rende forte, nutrire dubbi fa sì che non si senta del tutto smarrita.

La protagonista vive con i ricordi, perché è grazie ai ricordi che vivono i sentimenti. Quanto è importante la memoria dei singoli per la storia collettiva? E cosa significa essere una scrittrice oggi in Polonia? 
La memoria è fondamentale, noi siamo ciò che siamo stati e questo insieme di ricordi compone una comunità che può scegliere di condividere o meno quella memoria. Non so che tipo di ruolo posso ricoprire in questo momento come scrittrice, ma già il fatto che «Buio» sia tornato attuale è un segnale importante.

 

Intervista uscita in contemporanea su www.labottegadelbarbieri.org e www.diatomea.net



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