Barbara Bonomi Romagnoli | L’Occidente visto dai media arabi – Dibattito a proiezioni al Palladium di Roma
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L’Occidente visto dai media arabi – Dibattito a proiezioni al Palladium di Roma

“L’Occidente usa due pesi e due misure con noi arabi, questo è quello che più ci infastidisce e a cui intendiamo rispondere con forza”. Non sono andati per il sottile gli ospiti che lo scorso sabato a Roma sono saliti sul palco del Palladium, storico teatro di Garbatella, per ragionare attorno al tema “Occidente visto dai media arabi”. All’incontro, che si è svolto nell’ambito di una due giorni organizzata da Donatella Della Ratta, giornalista e studiosa dei media arabi, erano presenti rappresentanti delle maggiori emittenti arabe, tra cui Faisal Qassem, autore e conduttore del famoso talk show di Al Jazeera “Direzioni opposte”, in onda da 11 anni; Najdat Anzour, regista siriano, autore di controverse serie televisive sull’argomento del terrorismo e della guerra; Tareq Al Swaidan, fra i più famosi telepredicatori islamici, direttore della rete Al Risala, che produce programmi di intrattenimento e videoclip “islamici”, ma anche leader di un movimento islamico moderato e Abdallah Bijad Al Otibi, autore tv del programma “Industria della morte”, indagine sul terrorismo islamico in onda su Al Arabiya.

Seppur con sfumature diverse, tutti hanno sottolineato la forte responsabilità dei media occidentali nella costruzione del “nemico arabo”, come se tutti i musulmani fossero kamikaze pronti ad esplodere. Sappiamo bene che non è così e soprattutto, come ricordato da Tareq Al Swaidan e difficilmente detto dai media mainstream, la questione del terrorismo, di come comprenderne le cause e trovare soluzioni per prevenirlo, riguarda anche il mondo arabo, non solo i paladini dell’Ovest. Non c’è dubbio che l’Altro di cui abbiamo così tanta paura ci conosce in maniera molto più complessa di quanto noi presumiamo di conoscerlo.

Dalla selezione di programmi e spot pubblicitari, per noi inediti, che è stato possibile vedere nel corso dell’iniziativa, è emerso fortemente il tema dell’Occidente, delle sue culture, delle sue politiche. Un Occidente non scevro da pregiudizi, ma sicuramente preso a modello, in particolar modo nella vastissima produzione televisiva che è fruibile da milioni di persone. Infatti, come spiega Della Ratta, la differenza enorme tra i media arabi e quelli nostrani è “innanzitutto in termini economici, perché non esiste il mercato come lo concepiamo noi, c’è una offerta estremamente numerosa e diversificata ma non c’è un modello di sostenibilità economica. Questo crea una forte dismisura del valore potenziale di questi media, che parlano la stessa lingua in 22 paesi, con oltre 400 canali satellitari gratuiti. Da noi esiste la politica pubblicitaria, influenzata dall’auditel e dai target di riferimento, invece nei media arabi gli inserzionisti vanno dove vogliono andare, in maniera totalmente random”.
Najdat Anzour nel suo intervento ha anche evidenziato l’importanza rivestita dalla politica nei palinsesti arabi e parlando del suo lavoro ha ricordato l’importanza di informare le nuove generazioni, dare risalto alla causa palestinese o a quella irachena non solo per denunciare l’occupazione militare degli eserciti occidentali ma anche per far vedere quello che avviene quotidianamente in quei luoghi.

Anche Faisal Qassem, non evitando toni polemici e provocatori, ha sì ammesso la presenza di un po’ di confusione nei media arabi nel rappresentare la realtà occidentale come qualcosa di monolitico, ma anche ricordato come il dialogo per essere reciproco e rispettoso dell’Altro debba partire da una posizione paritaria, mentre lui si chiede: “perché non possiamo alzare la voce se l’Occidente comunica con noi con i missili Cruise? Perché ci viene richiesto sempre di fare attenzione a come parliamo dell’Occidente e non avviene il contrario?”.

Gli interlocutori invitati al dibattito hanno più volte ricordato la questione palestinese, hanno chiamato in causa gli interessi italiani in Iraq e rivendicato la democrazia come forma propria anche dell’Islam. Ha provato a rispondere Lilli Gruber, intervenuta come europarlamentare e presidente della delegazione per le relazioni con gli Stati del Golfo, ribadendo che gli stereotipi ci sono da entrambi le parti ed è necessario restituire la complessità dei paesi che, in Occidente come in Oriente, non debbono essere identificati con i loro governi: “Sull’Iraq l’Europa si è spaccata e l’opinione pubblica europea ed italiana era compatta nel dire no alla guerra – ha precisato Gruber – ed è difficile raccontare una realtà così complicata se prevalgono solo le ideologie”. Su questa affermazione hanno tutti annuito, meno convinti sono sembrati quando con pacata decisione Gruber ha concluso: “Quando si parla di Islam si deve dire che ci sono diverse interpretazioni e alcune versioni sono oggettivamente misogine, maschili, maschiliste e violente. Ma questo lo dovete dire voi. Se è vero che l’Occidente usa due pesi e due misure, anche alcuni imam usano due lingue. Nel caso delle donne, tra il diritto di coprire il capo e quello di mostrare l’ombelico, resta primario il diritto di scegliere”.

pubblicato su Aprile online, www.aprileonline.info



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