Barbara Bonomi Romagnoli | Stasera mi butto, anzi buttiamoci insieme
486
post-template-default,single,single-post,postid-486,single-format-standard,ajax_fade,page_not_loaded,,select-theme-ver-1.6.1

Stasera mi butto, anzi buttiamoci insieme

«Quel mattino Giacomo aveva detto: “Se mai dovessi aprire un blog, lo chiamerei Disambiguando”. Bello, ho pensato; e quella frase mi è rimasta in testa.
Da sempre, quando scrivo/parlo/penso, cerco di essere chiara. Diceva Ray Carver: “Niente prosa dai vetri appannati”. “Niente trucchi da quattro soldi”.
E sia.


Dis: prefisso verbale e nominale presente in composti derivati dal latino o formati modernamente per indicare separazione (disarmare-armare), dispersione (disperdere-perdere), opposizione (disonore-onore). Dal lat. dis- (Devoto-Oli 2007).
Ambiguità: s.f. (1) Condizione implicante la possibilità di una duplice interpretazione: l’a. di una frase; (2) doppiezza, falsità: l’a. del suo carattere. Arc. Irresolutezza, perplessità. Dal lat. ambiguitas -atis, der. di ambiguus ‘ambiguo’, sec. XIV (Devoto-Oli 2007).
E per finire, da dove viene il latino ambiguus?
Da ambigere ‘essere discorde’, comp. di amb. ‘intorno’ e agere ‘condurre’ (Deli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli 2007).
Dis.
amb.
ig.
uando.
Grazie, Giacomo».

È con questo breve racconto, a tratti intimo, che Giovanna Cosenza, docente di semiotica a Bologna, spiega il titolo del suo blog Dis.amb.iguando, fra i più letti in Italia. Una scrittura originale e puntuta, quella di Cosenza, per questo molto letta e seguita anche nel blog che tiene su “Il fatto quotidiano”, in cui discute di comunicazione politica. Giovanna Cosenza si occupa di media a tutto campo, con una costante attenzione ai linguaggi pubblicitari, all’informazione sociale, ai meccanismi di funzionamento dei nuovi media e ai social network, agli stereotipi di genere e alle pratiche delle donne in rete. É molto nota come blogger, opinionista, professoressa. Un po’ meno come narratrice di storie. È appena uscito per et al. /edizioni un divertente romanzo dal titolo “Stasera mi butto” che rimanda immediatamente alla Canzonissima del ’68. La verve di Rocky Roberts è una delle tante voci che accompagnano il testo: una track list di canzoni fa da sfondo allo scorrete dei capitoli, in un racconto che non ha un centro ma una rete di relazioni e di rimandi. In questo caso più che mai, non ha senso raccontare la trama. È un libro in cui si incontrano personaggi comuni e un po’ bizzarri, storie anche un po’ banali, ma viste da punti di vista insoliti, con pezzi di felicità da cercare, ognuno e ognuna con il proprio ritmo e le proprie parole.

Perché una docente di semiotica decide di “buttarsi” e di scrivere un romanzo?

Prima di tutto perché occuparsi di semiotica significa occuparsi di lingua e linguaggi. Nel mio percorso ne ho incontrati tanti. Fra l’altro, ho anche insegnato scrittura professionale per anni. Ho imparato che i generi e le forme sono molteplici. Ma l’idea di questa scrittura narrativa è venuta anche dall’esigenza di continuare il percorso di ricerca sulla lingua italiana e la sua grande ricchezza.
Scrivere storie ti permette di vedere molte più sfumature, è come se avessi aumentato i colori della mia tavolozza di scrittrice.

Hai definito il tuo testo, in una “autointervista”, una commedia transmediale. Ci spieghi meglio che vuoi dire?

È stato il tentativo di togliere l’etichetta di romanzo, un po’ per pudore; un po’ perché il romanzo è un concetto alto e al tempo stesso un po’ desueto e pomposo. Preferisco definirlo commedia per dare conto della leggerezza e dell’ironia che ho cercato di trasmettere. Transmediale perché ci sono dentro tutti i mezzi di comunicazione possibili e immaginabili, dalla chat alla mail, dal discorso informale al flusso di pensieri interiore, dal blog alla scrittura saggistica.

Il senso del limite, del proprio corpo, è un tema su cui le donne si sono sempre soffermate molto. Nelle tue pagine, invece, sembra esserci un invito a superare i propri limiti, non solo fisici ma anche mentali…

È un invito a superare le barriere delle convenzioni: Ilaria si butta quando decide di invecchiare, Valerio si butta quando decide di vivere una relazione stabile, dopo essere stato fino a quel momento nei binari dello studio, del lavoro fisso, dello stare a casa con la mamma. È un ragionamento attorno al superare i limiti mentali che non ci fanno accettare come siamo. Perfino la bambina, la più piccola del gruppo, trova un suo equilibrio.

In questo quadro degli stereotipi a cui attenersi c’è anche l’anoressia: forse un tema un po’ scontato da trattare?

È vero, se n’è parlato e scritto tanto, eppure è sempre più frequente. È una questione delicata spesso strumentalizzata, per questo ho scritto chiedendo aiuto ad una collega che si occupa di questo, per trattare l’argomento con correttezza. Non solo, con il personaggio di Maikol si parla anche di vigoressia, l’ossessione degli uomini per il corpo, le palestre sono piene.

La musica è parte fondamentale della narrazione, è più di una colonna sonora: sei partita dalle canzoni e attorno ci hai costruito i capitoli o è avvenuto il contrario?

Prima i personaggi, ho lavorato molto su di loro, me li sognavo, erano quasi diventati degli amici. Sono partita da loro e dai loro intrecci. Poi, lo ammetto, ho anche una vena pop che mi ha suggerito molti brani. A volte il collegamento è nel testo perché la canzone viene nominata dal personaggio o si balla sulla pista.
Creep per esempio dei Radiohead è un grido di dolore che si lega con la bellezza che non rende felici.

Torna fra un capitolo e l’altro la riflessione sul tempo, il senso da dargli: si può vivere senza tempo? Senza averne percezione?

Penso che il tempo sia l’ossessione della nostra epoca.
Qui l’ho declinato il tutte le sue forme: c’è la musica, c’è chi balla fuori tempo, c’è il tempo giusto per fare le cose, c’è chi come il padre non vuole che passi il tempo, c’è chi come Maikol vede il tempo, perché nei pochi secondi del lancio il tempo si dilata tantissimo e si ha la sensazione di vederlo – sui lanci e i voli mi sono informata ben bene. Considera che ho scritto questo romanzo anni fa, lo avevo finito nel 2010.
Anch’io mi sono presa il mio tempo, mentre attorno a noi corrono tutti!

pubblicato su Giulia.globalist



Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi