Barbara Bonomi Romagnoli | Strade e piazze che conservano memoria dei discorsi tra donne
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Strade e piazze che conservano memoria dei discorsi tra donne

«Perché coltivo una credenza: che le strade e i sentieri conservino le impronte di chi ci è passato. Credo che fosse l’alba di una settantina di anni fa quando per questa strada hanno camminato in ansia, guardandosi attorno, il nonno, la nonna, lo zio e la mia bellissima zia Lyda, incinta. Passi affrettati e atterriti, i loro, verso il convento delle suore che li avrebbe nascosti e protetti dalle bande fasciste e naziste che spadroneggiavano in città, sempre a caccia di ebrei. Guardo le loro impronte. Ripercorro la loro strada. I settant’anni trascorsi da allora mi sembrano pochissimi, si sente ancora, qui, il loro batticuore. Insieme al mio».

Si sente eccome il battito del cuore fra le pagine di questo agile e al tempo stesso così denso volume, Cartoline da Roma (Edizioni Unicopli, 2017], scritto da Lidia Campagnano, giornalista, saggista e voce autorevole del femminismo italiano. Si sente l’occhio attento di chi romana non è, di una donna che ha vissuto Roma con partecipazione e amicizia, con il desiderio di attraversarla per conoscerla davvero, alla ricerca di una mappa che ne restituisse la sua «trama storica, politica, ideale».

Un andirivieni fra strade e piazze, in cui si intrecciano memorie private, aneddoti e cronache politiche, un continuo oscillare fra il dentro e il fuori delle nostre case e dei nostri corpi. A dare il senso di questa finestra spalancata su Roma anche la scelta narrativa di intervallare i brevi capitoli con le illustrazioni di Angela Maria Russo, linee nette a cercare di mettere un po’ di ordine nel caos capitolino.

Lidia Campagnano ha scelto una interlocutrice preziosa in questo suo narrare, si rivolge – con «cartoline» che vanno a tessere una lunga lettera – a Folake, rifugiata dall’Africa in Italia con la sua figlioletta, una delle tante donne che Campagnano, nel suo decennale attivismo politico con donne native e migranti, ha conosciuto e alla quale affida pensieri e confidenze, riflessioni e dubbi, senza aver timore di schiudere le porte anche sul lutto e il dolore, sulla malattia e su quel sentimento di sconforto che a volte ci prende, perché a Campagnano «è rimasta come un’impronta interna l’idea che tra donne esista un discorso avviato, come un nastro che si può avvolgere o srotolare in ogni momento, frutto della stagione giovanile nella quale avevamo deciso di incontrarci in piccoli circoli, nelle nostre case, per imparare a tesserlo».

Con Folake il filo torna a srotolarsi rivolto al futuro, perché con Folake l’autrice è «passata dal Noi al Tu. Tu non sei scontata. Tu forse trovi bizzarre le mie esperienze e ancor più bizzarre le parole che uso per raccontarle. Mi ascolti e spesso ridi. Scuoti la testa. Mi abbracci. Mi aiuti Folake, non sai quanto, a sopportare la mia bizzarria, il mio sconcerto, il mio amore e la mia paura di questa città e mi costringi a guardarla con altri occhi. Perché posso ben dirlo: tu non hai più paura di niente. Tu ne hai viste tante. E perciò ora te la vorrei regalare, questa città. Prenditela Folake. Costringila ad essere gentile con la tua bambina. Goditi la sua leggerezza, finché ce n’è».

Una scrittura pacata e appassionata, hai scelto la forma epistolare anche per prendere le distanze dal mordi e fuggi dei social?
«La cartolina appartiene al regno dei ricordi: un’immagine con uno scritto breve, allusivo di affetti, che specie in estate viaggiava a lungo prima di arrivare. Non è proprio uguale alla lettera, è forse più timida ma conta molto sulla cordialità dei rapporti. Mi va bene come ogni mezzo comunicativo che non rientra nei media, e come amo per pescare nella memoria».

«Cartoline da Roma», Lidia Campagnano, illustrazioni di Angela Maria Russo, ed. Unicopli 2017, 111 pp., 12 euro
«Cartoline da Roma», Lidia Campagnano, illustrazioni di Angela Maria Russo, ed. Unicopli 2017, 111 pp., 12 euro

«Cartoline da Roma» parla fra l’altro di relazione fra donne e non solo, di politica e sentimenti, di bellezza, di partenze e ritorni: ti sei mai sentita in fuga?
«Varie persone mi hanno detto che questo libro è amorevole nei confronti di Roma: ne sono contenta. Preferisco vivere a Milano perché la vita sociale milanese mi si addice di più. Del resto è qui che la mia vita sociale, cioè pubblica, ossia politica si è svolta meglio. Ed è da questo punto di vista, sociale e politico, che a Roma mi sono sentita più sola. Il mio amore per Roma invece ha un po’ il sapore della solitudine. Ne sono fuggita? Credo di sì. Ma Roma resta una mia città lo stesso».

 Ad un certo punto scrivi «abbiamo scelto la posizione politica della più radicale uguaglianza: il comunismo». Non nomini invece mai il femminismo, come mai? Solo una volta nel testo ti definisci «vecchia femminista», quale ferita/scarto è sopraggiunto?
«Comunismo, femminismo… nella mia vita e nella mia testa si sono fusi in un’unica “coltivazione”, in un unico desiderio di metamorfosi delle convivenze umane tutte. Siamo donne e uomini, come minimo, dico sempre. Donne e uomini si distinguono da altre specie per essersi fatti e fatte responsabili della Terra e dei viventi. Un’enormità. Comunismo e femminismo per me sono il precipitato (differenziato) di questa bizzarria. Cerco di non abusare di simili concetti, per non logorarli più di quanto non sia stato fatto già. Voglio lasciare stoffa sufficiente per la creatività futura in proposito. Ferita? Sì sono ferita come chiunque, penso. Ma niente affatto rassegnata».

Pubblicato su la 27esimaOra del Corriere della Sera



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