Barbara Bonomi Romagnoli | rivoluzioni
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La rivoluzione femminista

di Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi

L’invito che ci ha portato all’università estiva di Attac Italia indicava anche una via di riflessione: “ci interesserebbe un intervento che non ci racconti (solo) il movimento delle donne, che non faccia (solo) la storia di Non una di Meno, ma che invece ci aiuti a capire perché la società che vogliamo o è femminista o non è”. Un suggerimento certamente elegante ma che tradisce un atteggiamento molto comune anche negli ambienti progressisti, ovvero gli uomini hanno sempre bisogno di spiegarci le cose, di dirci cosa è meglio fare e come farlo, con l’atteggiamento, nei nostri confronti, di chi elargisce una libertà che ci sembra spesso condizionata.

Quei libertari anni ‘80, quando essere trans significava non volere la normalità

«Quando si cominciò a rivendicare, prima che i diritti, il diritto di esistere»: finché non lo leggiamo nero su bianco, non ci riflettiamo quasi mai sul nostro stare al mondo, su chi può esercitare questo diritto senza colpo ferire, senza pensarci su. E chi, invece, ha dovuto aggrapparsi a tutto per arrivare a mettere al centro del discorso – pubblico e privato – il proprio diritto a esistere. Come trans e, soprattutto, a nominarsi come esperienza umana significativa. Sì, perché non è certo semplice dare un senso alla propria vita se c’è una intera società che la nega, se non sono reperibili documenti, se il mondo attorno ti etichetta come capricciosa, sempre e comunque malata e fuori dalla norma.

 

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